Data di uscita: 29/01/2016
Tracklist:
Questo nostro grande amore
Non finirà
Baby Soldato
Il posto più freddo
Protobodhisattva
Aurora
Una cosa stupida
Calabi-Yau
Ultimo mondo
Finirà
Sparire
AURORA
di Fabio de Luca
I CANI, “AURORA”
In una ipotetica fiction dell’anno 2041 sulla vicenda artistica ma soprattutto umana de I Cani, “Aurora” – che è il loro terzo album – starebbe nella quarta puntata: quella in cui si narra del raggiungimento della controversa maturità, del rallentare la corsa scambiato (dai commentatori di Facebook più integralisti) per essersi “ammorbidi” o “venduti”; dello smettere di “cercare/su Google/il mio nome” (come cantano in “Calabi Yau”, canzone interrotta a metà da trenta secondi di onde che s’infrangono sulla spiaggia e stridio di gabbiani). Niccolò Contessa –– interpretato in questa fiction dal Claudio Santamaria dell’anno 2041 (che oggi ha tipo un anno, quindi non sappiamo ancora chi sia) –– riuscirà però, entro la fine della puntata, a convincere tutti di aver di nuovo fatto un gran disco, e il tour sarà un enorme successo. La scena finale è una folla oceanica sotto un tendone tipo “Zerolandia” che canta in coro “…la materia oscura di questo mondo strano” anche dopo che la musica è finita.
“Aurora” è l’album della navigazione tranquilla, la cui ostentata tranquillità (quanti meno spigoli rispetto ai precedenti due album, quanto più distesi e a tratti persino rilassanti i ritmi) nasconde però –– appena sotto la superficie –– la consueta spietata autoanalisi da pubblico ministero di se stesso, e sacche di abissale magone.
I Cani (che qualcuno vezzosamente scrive iCani, tipo iPhone, ma sia detto una volta per tutte che questa grafia È SBAGLIATA), I Cani sono la band fondata da Niccolò Contessa nel 2010.
“Aurora”, che è appunto il suo/loro terzo album, a tratti sembra perseguire (inspiegabilmente!) certi cliché della house francese di qualche tempo fa (suono che Contessa peraltro ben conosce e coltiva sin dai tempi di quel suo primitivo progetto musicale figlio degli anni d’oro di MySpace, i TAVRVS). “Non finirà”, per dire, ha la scansione marziale e al tempo stesso funky dei Daft Punk più classici (“Around the World”), paragone che torna in “Protobodhisattva”, e in maniera più diluita pure nella penultima “Finirà”.
“Aurora”, casualmente, è anche il titolo di uno dei singoli più riusciti di Alex Gopher nella sua breve fase tamarra (recuperare lo Shinichi Osawa remix): ma ovviamente questa è una coincidenza.
“Aurora” –– dirà qualcuno –– pare abbandonare il cinismo dei primi due album (che comunque, nemmeno lì era davvero cinismo: piuttosto severo realismo superficialmente scambiato per cinismo). Ma non è esattamente così. Anche tralasciando “Baby soldato”, che è invero parecchio dura (e riprende quella tecnica dell’osservazione partecipe resa celebre dai momenti migliori dell’album di esordio); pure quando canta, sanremese come non mai, “tu immagina i bond di questo nostro grande amore/in base al tuo tasso di interesse per me/che tiene più dell’America” (“Questo nostro grande amore”); pure in un momento apparentemente estivo e vaporoso come “Protobodhisattva”, dove la leggerezza dello snocciolare argute banalità sull’evoluzione e sul nostro posto nel Mondo viene brutalmente interrotta dalla domanda: “vuoi il culo o la fica?”. Lasciandoci col sapore e col dubbio di tutte quelle volte in cui ci siamo fatti fregare dal titolo acchiappaclic di qualche articolo linkato su Facebook.
(E poi c’è “Il posto più freddo”. Che è probabilmente la più cupa, soffocante, bella canzone mai scritta da Niccolò e da I Cani. Un momento da puro “Federico Zampaglione accelerazionista”, ha scritto qualcuno. Un ideale passaggio di consegne tra la vecchia generazione e la nuova).
(Ma pure “Una cosa stupida”, eh, che in tre minuti e 23 secondi sintetizza una specie di Lucio Battisti –– epoca “Ancora tu” –– rallentato e prodotto dai Boards Of Canada)
(Ma pure, infine, il suono del modem in fondo alla title track, che è più madeleine di qualsiasi madeleine, e più retromania di qualsiasi retromania).