“Questa sera di amori violenti,
di cuori spenti, di negozi aperti
ci basterebbe una bellissima luna
per liberarci dal male”
Non cercate risposte, non pretendete certezze.
Non pensate di trovare un messaggio univoco, la ricetta per affrontare senza patemi l’anno appena iniziato. I grandi autori hanno un solo compito ed è scrivere grandi canzoni, come quelle che fanno di “Afrodite” un album completo e complesso, che rimette Dimartino al centro della nuova musica italiana.
Un album fatto di storie e personaggi mai riconciliati, che cercano di tenere insieme i pezzi della propria quotidianità, esattamente come facciamo tutti, dallo squillo della sveglia fino all’istante in cui decidiamo che per quella giornata è sufficiente. Nessun dramma epocale, ma tanti piccoli momenti da affrontare e superare, perché, come insegna l’aritmetica di base, meno per meno finisce per fare più, anche quando i punti di riferimento spariscono e Palermo si perde “nel vento dei Tropici” (“Ci diamo un bacio”). Palermo è uno dei cuori dell’album, una città viva e in evoluzione, dove a tarda notte è possibile trovare una ragazza che, di ritorno da un rave, balla sul tetto di un’automobile, come cantato in “Daniela balla la samba”. Uno sfondo che sembra uscire da un mondo di realismo magico, in cui divinità pagane e attività banali si incrociano senza sosta.
“Afrodite” è un disco che segna un scatto in avanti in Dimartino, la conquista di una nuova dimensione personale e autorale. La prima è legata alla paternità, a quella figlia che gli ha fatto capire che “tutto questo amore / sono sincero, no / io non l’avevo previsto”, come canta in “Feste Comandate” una delle canzoni più delicate e insieme intense del disco. La crescita autorale è invece legata a un lavoro di produzione e cura delle canzoni che non ha precedenti nella carriera del cantautore palermitano, grazie alla collaborazione con Matteo Cantaluppi.
L’unione di queste due componenti ha portato a una nuova maturità, in cui gli affetti sono il porto sicuro dove rifugiarsi, consapevoli che “passerà questo nostro Vietnam”. Orizzonte privato e pubblico si fondono, come nella migliore tradizione dei cantautori italiani, ma con un’attitudine contemporanea e lo sguardo fisso sul presente. Pezzo dopo pezzo, “Afrodite” scava nella parte più scura del nostro tempo, con la capacità di trovare sempre una scintilla di luce: “perché sono giorni buoni / fatti di ore crudeli” (“Giorni buoni”).